Quando si parla dei contributi previdenziali che versano i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS, si pensa spesso che tali contributi siano più bassi rispetto a quelli che pagano i lavoratori dipendenti, e che quindi, per quanto riguarda la contribuzione pensionistica, i lavoratori autonomi siano ancora un po’ dei privilegiati rispetto ai lavoratori dipendenti.

Ebbene, quest’idea non corrisponde alla realtà, almeno secondo i calcoli messi nero su bianco dall’ACTA, l’Associazione dei Consulenti del Terziario Avanzato.

Con una tabella comparativa che si può consultare a questa pagina del sito dell’ACTA, quest’ultima dimostra infatti che, mentre i contributi previdenziali di un lavoratore autonomo sono del 27% del costo lordo del lavoro, quelli effettivi di un lavoratore dipendente sono del 25,63%, e non del 33%, come spesso si crede.

Sulla base di ciò, ACTA sta facendo opera di pressione sul Governo perché nel disegno di legge sulla riforma del mercato del lavoro di cui si discute in queste settimane non sia previsto, come sembra essere a oggi, un aumento dal 27% al 33% dei contributi previdenziali dei lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS; un aumento di siffatte proporzioni penalizzerebbe ulteriormente tale fascia di lavoratori, a vantaggio di chi paga già di meno di contribuzione pensionistica, ossia, oltre ai lavoratori dipendenti, anche commercianti e artigiani, che hanno a oggi un’aliquota contributiva del 21%, e i professionisti ordinisti, che oggi pagano un’aliquota contributiva del  14%.

Per contrastare l’ipotesi di questo aumento, oltre che per evitare altre misure in discussione che rischiano di penalizzare le partite Iva nel nostro paese, ACTA ha già organizzato una mobilitazione a Milano nei giorni scorsi, e ne ha indetta un’altra a Roma per domani, 24 aprile.

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